Riflessioni di don Ferri in ritiri
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
16 ottobre 2025 * S. Margherita Alac.
itenfrdeptrues

MatrimonioRiflessione dettata dal rettore alle famiglie riunite in ritiro il 9 novembre 2014 presso il Santuario San Giuseppe in Spicello di San Giorgio di Pesaro. Testo base: I Cor 9, 16-23
Per il documento: clicca qui
Da notare bene che la formulazione del tema da svolgere, come risulta dalla vostra dispensa (“La Famiglia è la Missione”), presenta una duplice valenza.
Può intendersi la famiglia come colei che “compie una missione”, ma anche la famiglia che, di per se stessa, “è una missione”.
La “Missione” è il compito affidatoci da Dio. Nel nostro caso, dopo che il Signore ha inventato la famiglia, le affida la missione di rimanere tale e quale, come l’ha pensata. Solo così riesce a compiere la missione pure verso gli altri.
Come riesce la famiglia a rimanere tale e come riesce a compiere la missione?
E’ quello su cui siamo chiamati a riflettere in questo ritiro.

Abbiamo ascoltato l’esclamazione di Paolo: “Annunciare il Vangelo … è una necessità: Guai a me se non annuncio il Vangelo”.
Anche Papa Francesco lo ha scritto e sottolineato nella “Evangelii gaudium”. Tale cosa vale per lui, per ogni persona e per la famiglia.
Ecco cosa dice il Papa: “La missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione e per questo mi trovo in questo mondo”.

Questo – lo ripeto - vale per il Papa, per la Chiesa, per i singoli, per le istituzioni e, tra queste, anche per la famiglia.
Anche Gesù è venuto in missione e per compiere una missione, come dirà alla fine: “Padre, ho compiuto la missione che mi hai di compiere”.
A questo punto, allora, ci domandiamo: cosa è, in cosa consiste il compito della missione?
Si tratta di fare la volontà di Dio, di mettersi nelle sue mani. Si tratta di diventare suoi strumenti per il fine che Lui si è prefissato a nostro vantaggio e, attraverso di noi, per fare sì che tutti siano salvi. Ovviamente, questo si realizza con tutto l’impegno possibile da parte nostra.
A tale scopo Paolo, dopo avere fatto l’elencazione di come si è comportato (fattosi servo di tutti… come uno che è sotto la legge… come uno che è senza legge… fattosi debole con i deboli…), conclude: “Mi sono fatto tutto per tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno”.
Però, attenzione!
Non si tratta solo di comunicare, o far conoscere, o fare chissà che cosa, ma si tratta di “essere missione”, con la vita.
In altre parole, si tratta di vivere con coerenza il Vangelo. Il Vangelo non è solo comunicato e fatto conoscere, ma è necessario che sia vissuto. In altre parole la comunicazione, avviene pure con parole, ma soprattutto, per contagio. Si tratta di essere fermento nella massa: “Voi siete il sale della terra… voi siete la luce del mondo…”.
Purtroppo, quando ci adeguiamo all’ambiente, quando cioè non siamo più sale e neppure luce, la missione è resa sterile.
Che ne dite, ad esempio, quando i membri della Santa Famiglia non si distinguono, per lo stile di vita, dagli altri cristiani e si confondono con la massa?
Sono fuori strada, non sono una missione e, di conseguenza, non compiono la missione per cui Dio li ha chiamati: la propria famiglia e le altre famiglie non sono salve, non si santificano secondo il disegno di Dio.
Chi va fuori strada, non vive il Vangelo.
Il Vangelo (che, come sappiamo, significa “buona notizia”) non è solo quello che racconta, in quanto detto o fatto da Gesù, ma è una persona: è Gesù stesso. La buona notizia è Lui, per il fatto che toglie il peccato e ci salva.
Forse questa non è una bella notizia?
Allora, il Vangelo vissuto da noi in concreto, è credere nella presenza viva ed operante di Cristo nella vita di tutti i giorni, come ci lasciato detto il giorno dell’Ascensione: “Non temete, io sono con voi!”.
Non è una bella notizia questa?
Cosa questa che, in qualche maniera, è percepito dagli altri. Per cui, non bastano le parole.
Che missione sarebbe, se poi lo si smentisse con la vita?
Viviamo noi, questo?
Quali sono, in pratica, i modi per smentire tale presenza?
Ecco due esempi, a modo di domanda.
Con quale atteggiamento e serenità interiore viene affrontato il mistero del dolore e della sofferenza?
Con quale fiducia ci poniamo davanti alla Provvidenza, quando ci si trova in difficoltà economiche oppure in problemi che non sappiamo come risolvere?
Papa Francesco, da parte sua, ci invita a riflettere su qualche aspetto del nostro vivere il Vangelo. Eccoli.
“No” all’accidia egoistica. È la pigrizia, quella spirituale. È la perdita di ogni entusiasmo per la causa di Dio; è non impegnarsi seriamente quando non si trae un utile personale.
“No” al pessimismo sterile. Sarebbe la peggiore tentazione.
Sarebbe quello che ci porta a dire: “Ormai non c’è nulla da fare… Viviamo in un mondo guasto sino alle midolla… Cosa contiamo noi cristiani, così pochi?… E anche noi, Santa Famiglia, cosa possiamo fare?… Siamo sempre meno… Non ci sono vocazioni… Era una volta!..., ora si tira avanti alla meno peggio…” .
Ma questo non denota, forse, che contiamo troppo su di noi?
Ci siamo forse dimenticati della garanzia lasciata dal Signore all’Alberione: “Non temete! Io sono con voi!”?
Non è altro che la consegna avuta nel momento dell’Ascensione e che viene ribadita all’inizio della Famiglia Paolina, con chiaro riferimento eucaristico.
Il Papa prosegue.
“No” alla mondanità spirituale. Consiste nel cercare non tanto la gloria di Dio, ma quella umana e personale; non il bene degli altri, ma nel limitare l’impegno al personale benessere, sia pure spirituale. Anche se non appare in maniera evidente, di fatto al centro non ci sta lui, ma noi stessi.
Di fatto, ci si aspetterebbe una qualche ricompensa, un qualche riconoscimento e apprezzamento, una qualche lode e consolazione, un qualche risultato… ma Paolo smonta tale ottica: “Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo”.
Se poi qualche frutto di consolazione, di riconoscimento o altro ne venisse, non è da scartarsi, lo si accetta umilmente, senza che questo, però, sgretoli minimamente il dovere della missione, che va avanti comunque, anche in presenza di difficoltà e incomprensioni.
Lo diciamo espressamente nella formula segreto di riuscita: “Per parte nostra, promettiamo e ci obblighiamo: a cercare, in ogni cosa e con pieno cuore, nella vita e nell’apostolato, solo e sempre, la tua gloria e la pace degli uomini”.
Non dimentichiamo, a tal proposito, che il segreto di riuscita non è un fatto magico.
È sempre il Papa che continua.
“No” alla guerra fra di noi. E’ la conseguenza inevitabile del non cercare innanzitutto la gloria di Dio, ma se stessi, sia pure camuffato da apparenti rette intenzioni. Quando c’è l’io non può esistere armonia.
“Sì” alla sfida di una spiritualità missionaria. Quindi una missionarietà aperta al mondo. Questa ci porta a lottare contro tre nemici.
Il pessimismo che porta allo scoraggiamento. Lo abbiamo già detto.
La corruzione. Qui intendiamo riferirci alla perdita del senso di peccato.
Quindi, “corrotto” non è chi commette il peccato e che sta lottando ogni giorno per vincerlo. “Corrotto” è colui che si arroga il diritto di decidere ciò che è bene e ciò che è male. E’ il primo e vero peccato: su di esso sono caduti i nostri progenitori, Adamo ed Eva.
Per questi “corrotti” vale unicamente il principio: è bene ciò che piace a me, è male ciò che non piace a me. E’ valido il mio punto di vista, è tutto sbagliato quello che pensa l’altro.
Capite che con ciò, va a farsi benedire il dialogo e il mettere in comune tutto quanto si trova di positivo, per una armonia a vantaggio di tutti.
La corruzione tocca anche le piccole e modeste situazioni della vita: per molti l’antipatia, è divenuta un bene; l’arrangiarsi rubacchiando, è una cosa lodevole e di cui vantarsi; farla pagare, è un trionfo.
La cultura della morte. E’ il vedere l’altro un ingiusto aggressore. Di qui: l’aborto, il divorzio, l’eutanasia, la teoria gender…
Che fare e come comportarci, per quanto riguarda noi?
Siamo al punto C): La missione della famiglia.
Prendiamo in considerazione una espressione del Papa: “La missione è una passione per Gesù (ad intra), ma al tempo stesso è una passione per il popolo (ad extra)”.
Ad intra. Paolo VI: “Tutti i componenti della famiglia si evangelizzano e sono evangelizzati”.
Quindi, la prima missione è la famiglia stessa. Essa mette la Parola di Dio al centro. L’ascolto e la lettura della Parola di Dio costituiscono il nutrimento di ogni famiglia cristiana.
È necessario riflettere su questo ed ecco alcuni suggerimenti.
Potrebbe essere la lettura continua di un libro biblico, potrebbe essere quella presentata dal breviario, oppure quella del messalino con l’appropriata riflessione, potrebbe essere fatta in casa con la partecipazione comune, potrebbe essere fatta da soli in casa, oppure in chiesa partecipando all’eucaristia, dando maggior spazio o prima o dopo della Messa.
Ad extra. Ancora Paolo VI: “Una simile famiglia diventa evangelizzatrice di altre famiglie e dell’ambiente in cui è inserita”.
Ovviamente, a volte con iniziative; e, comunque, sempre con la presenza, secondo l’espressione dell’Alberione: “Che la mia presenza ovunque porti grazia e consolazione”.
Il punto D) passa a riflettere su due ministeri evangelizzatrici alla portata di tutti.
Ministero della intercessione.
E’ la prima opera. Si compie con la preghiera.
Giovanni Paolo II afferma: “I veri centri della storia del mondo e della salvezza non sono le laboriose e attive capitali della politica o dell’economia, del denaro e del potere terreno. I fulcri autentici della storia vanno ricercati nei luoghi silenziosi di preghiera degli uomini”.
Guardando nel nostro territorio, lodiamo il Signore per il nuovo monastero di Cartoceto; lodiamolo per i vari centri di adorazione eucaristica, abbastanza diffusi anche nella nostra diocesi.
Ministero della riparazione o espiazione.
E’ una forma di attività apostolica molto efficace. Le anime riparatrici sono persone che sanno assumere sulle proprie spalle la croce su cui sono inchiodati i peccati di tutti.
Mi fermo.
Gli appunti, che avete in mano, vi aiutano a comprendere l’apostolato della riparazione, secondo il pensiero anche di don Alberione.

La certezza di essere amabili e amati
Confronto e risonanza nel pomeriggio del 9 novembre 2014
(espressioni estratte da “Gesù Maestro” n.3/14 pag.36)

Stamane in un passaggio abbiamo parlato di pessimismo. Nel pessimismo manca la gioia e regna la tristezza.
Ora ci domandiamo:
Quale tipo di gioia? Perché: una cosa è l’allegria o il piacere, altra cosa è la gioia.
Quando stiamo bene nella nostra persona proviamo l’allegria, l’euforia, il sentirci in forma, pur non essendo, per questo, pienamente gioiosi. Quando, invece, siamo in sintonia con altri, quando viviamo in comunione con qualcuno, allora siamo nella gioia.
Ovviamente, questa comunione è innanzitutto verso Dio, perché lui solo è la fonte della gioia; ma è pure con gli altri, creati a immagine di Dio. In altre parole, è mettere in pratica il comandamento dell’amore, con le due sfaccettature: amore a Dio e amore al prossimo.
Si è nella gioia solo quando si ama e si è amati, non dimenticando la parola della Sacra Scrittura: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”.
Riepilogando, la gioia nasce dall’intima certezza di essere amabili e amati, ed inoltre dal percepire che la nostra vita non si esaurisce in una somma di anni. Non contano gli anni. È proprio la gioia che ci mantiene nella perenne giovinezza dello spirito.
C’è un peccato, del quale nessuno si confessa. È la tristezza, il pessimismo. Esso, a sua volta, porta alla depressione. Lo dimostra il fatto che l’elemento chimico più venduto per il nostro corpo e per il nostro cervello sono gli psicofarmaci, gli antidepressivi, gli ansiolitici.
D’altra parte, ci rendiamo conto che non è difficile essere tristi, pessimisti, inquieti; tutti ci riescono facilmente. Basta lasciarsi andare alla nostalgia di un passato che non esiste più, basta lasciarsi prendere dalla voglia di lamentarsi di qualcosa o di qualcuno.
Le occasioni per farlo non mancano mai. Alzi la mano chi non si è mai lamentato della crisi in cui siamo piombati!
Al contrario, è necessario lottare contro la malinconia e la tristezza. Ciò avviene quando cerchiamo quello che è bello e buono.
Purtroppo, è una virtù rara. È da tenere presente il famoso detto del “bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno!”.
Il desiderio della gioia, è radicata in noi sin dalla nascita. Essa, nel contempo, appartiene alla terra e al cielo.
Radicata, però, non significa che non abbia bisogno di un perfezionamento. Esso si matura negli anni.
Come si sviluppa la gioia?
Nel bambino. Egli sorride al riconoscimento del volto materno, specie dopo un’assenza. Il suo sorriso indica il bisogno di essere amato e la necessità di una relazione. La cosa, pian piano, si allarga alle persone che gli stanno vicine e lo aiutano alla crescita.
Nell’adolescenza. Con l’innamoramento, avviene un passaggio. Si scopre l’amore nelle sue dinamiche di attrazione e apprezzamento, è la premessa per un cammino da fare insieme. L’altra persona è percepita come unica ed esclusiva sorgente di felicità e gioia.
Nell’età adulta. La gioia sta nel sentirsi utili a qualcuno e per qualcosa. Nel tal caso, anche i sacrifici si fanno volentieri e con soddisfazione.
Nella vecchiaia. La gioia rimane se si cerca di dare adito a rimpianti e nostalgie. Si trova nel lodare Dio per come ha condotto nella vita. Su questo, ovviamente, è avvantaggiato colui che, nel passato, ha saputo vivere bene la vita.
Per Papa Francesco, la gioia è un dono del Signore che ci riempie da dentro; è una unzione dello Spirito e risiede nella sicurezza che Gesù è con noi.
L’articoletto conclude con una storia mediorientale.
Essa racconta di un uomo così buono e disinteressato che Dio decide di premiarlo. Perciò, chiama un angelo per riferirgli che ogni suo desiderio sarà esaudito.
L’angelo compare all’uomo gentile e gli comunica la buona notizia.
L’uomo risponde: “Io sono già felice. Ho già tutto ciò che desidero”.
L’angelo gli fa capire con Dio bisogna avere tatto: se ci fa un regalo, è meglio accettare.
Allora l’uomo risponde: “Va bene! Voglio che tutti quelli che entrano in contatto con me si sentano bene. Però non voglio saperne nulla”.
Da quel momento dove l’uomo passava, le piante avvizzite rifiorivano, gli animali più malandati si riavevano, i malati guarivano, gli infelici venivano sollevati dai loro dai loro terribili fardelli, chi litigava faceva la pace e chi aveva un problema riusciva a risolverlo.
Ma tutto questo avveniva dietro di lui, nella sua scia, senza che egli ne sapesse niente. Non c’erano da parte sua né per il bene compiuto, né aspettative di alcun genere.
Ignaro e contento, l’uomo camminava per le vie del mondo regalando felicità.

facebook

"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

Visite agli articoli
3654885

Abbiamo 26 visitatori e nessun utente online