Riflessioni di don Ferri in ritiri
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
17 ottobre 2025 * S. Ignazio d'Antiochia
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Pietro mi ami
  
Riflessione dettata dal rettore alle famiglie riunite in ritiro l'8 febbraio 2015 presso il Santuario San Giuseppe in Spicello di San Giorgio di Pesaro
La “sequela” di Cristo per il cristiano e per la coppia
(Testo di riferimento: Gv 21, 15-19)
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1 - La sequela qualifica la vera relazione con Dio
Il brano ascoltato termina con “seguimi”.
Ricordo che da ragazzo, nelle formule del Catechismo di Pio X, alla domanda su cosa sia il Battesimo, si rispondeva: “Il Battesimo è il sacramento che ci fa figli di Dio, membri della Chiesa e ‘seguaci’ di Gesù Cristo”.

I seguaci sono coloro che mettono in pratica la “sequela” detta anche il “discepolato”.
I discepoli sono coloro che ascoltano gli insegnamenti di Gesù, li mettono in pratica, li vivono imitando Lui, gli vanno dietro, si lasciano trascinare, lo seguono.
Ora vogliamo riflettere più profondamente sul significato e sulla concretezza del termine “sequela”.
In un altro brano, riportato da Luca, è scritto: “Se uno viene a me (la sequela) e non mi ama più di quanto ami suo padre (la precedente traduzione ‘non odia’), la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo (cioè seguace, e quindi non può dirsi cristiano)”.
Volendo poi indicare il tipo di sequela e qualificarla, Gesù aggiunge: “Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo”.
Pertanto, per essere discepoli, è necessario caricarsi della croce.
Quale tipo di croce?
La croce ha due dimensioni: in primo luogo è seguire Lui per quello che è e per quello che comporta; in secondo luogo è accogliere le situazioni disagiate della vita per amore suo.
Innanzitutto cosa comporta seguire Lui?
La regola generale è nel rinunciare a tutto quanto ci impedisce di camminare speditamente dietro a Lui e, nel contempo, nell’accettare la fatica del cammino stesso, piuttosto in salita. Questo fa riferimento ad un’altra espressione di Gesù: “Chi vuol salvare la propria vita, la perderà. Chi invece la perderà per me e per il Regno, costui la troverà”.
Se da una parte è bello seguire Gesù che ci attira a sé, dall’altra è doloroso costatare come ci sia chi vuol trattenerci dall’impresa, tirandoci indietro. Costui usa tutti i mezzi che il mondo presenta: la derisione, il sarcasmo, la calunnia, tante parole per scoraggiare. Sono sofferenze inflitte dalla cattiveria degli altri, per il fatto stesso che siamo seguaci, cosa reca loro disturbo.
Il vero discepolo, però, preferisce perderci la faccia e va avanti comunque.
Poi ci sono altre situazioni, che pure chiamiamo croci. Provengono dalla vita, indipendente dall’essere cristiani o meno, ma che il seguace è chiamato a vivere in un certo modo e con determinato stile, cioè per amore di Cristo, credendo in un piano di Dio.
In questa dimensione possiamo annoverare le seguenti situazioni.
Il dover costatare ed accettare le nostre incapacità, su ogni campo, cosa che ci deve spingere e contare maggiormente su Cristo.
Le sofferenze del corpo per malattie, infermità, menomazioni, anzianità.
Le sofferenze morali inflitte dalla cattiveria e trascuranza di altri: incomprensioni familiari e parentali, disaccordi col vicinato, mancanza di lavoro, scarsi mezzi di sussistenza.
Il dover portare le conseguenze dei nostri sbagli.
Da non dimenticare un’altra cosa importante: l’espressione di Gesù che, in un altro contesto, dice: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”.
Pertanto, la croce è un bagaglio quotidiano, per tutti, senza eccezioni.
A questo punto ci facciamo una domanda.
Nella vita matrimoniale e familiare, da dove provengono i malintesi, i dissapori, i disaccordi, le incomprensioni, le crisi?
Sono situazione riscontrabili, più o meno, in ogni famiglia. E’ un dato di fatto. Tutto sta a superarle, per non arrivare alle situazioni più gravi di sfascio della famiglia stessa, di separazioni e divorzi.
Per non avvenga tale fallimento, è necessario tener viva la sequela di Cristo.
Seguendo Gesù non è detto che le croci spariscano, però abbiamo una marcia in più, come Lui stesso dice: “Il mio giogo è soave e il mio peso leggero”.
2 - Il passaggio dall’innamoramento al vero amore
Uno dei cammini della vita, relativi ad una forma di croce, è passare dall’innamoramento al vero amore. Potrebbe sembrare una rinuncia, ma di fatto è una scelta in positivo.
Il brano iniziale che abbiamo ascoltato, è quanto mai eloquente. Gesù si presenta come lucido pedagogo, allo scopo di educare Pietro.
Innanzitutto ci domandiamo: Chi era Pietro?
Un bravo uomo, in fondo, come ognuno di noi, per cui possiamo ben rispecchiarci in lui.
Ha dovuto rinunciare al suo carattere, ha dovuto convertirsi ogni giorno, ha dovuto portare la propria croce.
Ovviamente, il suo cammino è avvenuto per tappe.
Prima tappa. Deve correggersi dall’eccessiva generosità, equilibrandosi. Come sono importanti gli equilibri nella vita!Questo suo carattere appare chiaramente in un particolare episodio.
Dopo che Gesù ha annunziato la propria passione e morte, Pietro esce con l’espressione: “Dio te ne scampi, questo non ti accadrà mai!”.
Come a voler dire: “non aver paura, ci sono io a difenderti!”.
Pietro, infatti, è generoso e ama Gesù. Non vuole che patisca e muoia; è pronto, pertanto, a combattere personalmente con tutte le forze.
Sembra un atteggiamento generoso, mentre in realtà non è né retto né sincero; il suo pensiero e il suo agire, non è secondo il disegno di Dio. È una generosità troppo umana, non è soprannaturale; egli porta avanti se stesso. Teme, infatti, di dover perdere il ruolo di capo, di cui, come poc’anzi, era stato investito da Gesù: “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”.
E’ vero che amava Gesù, non per quello che in realtà era Gesù, ma per la carriera che gli aveva riservato e che, comunque, Pietro sognava.
Applichiamo e domandiamo a noi stessi.
Tutte le nostre cose, anche quelle di carattere religioso e di servizio verso i fratelli, le facciamo con spirito sincero e retto, o ci sono intenzioni meno rette, sperando un qualche vantaggio per noi stessi?
Seconda tappa. Deve correggersi dal coltivare pensieri di grandezza umana. Quante discussioni tra gli apostoli sul chi doveva essere il primo! Pietro, da parte sua, è convinto di essere il primo e, per il resto, di essere a posto su tutto, tanto che dirà: “Signore, sono pronto a dare la vita per te!”. E’ ancora un atto di generosità.
Poi sappiamo come andrà a finire: lo rinnegherà.
Ecco dove conduce la generosità solo umana! È una generosità sbagliata e si chiama presunzione.
Terza tappa. Avviene nell’episodio della lavanda dei piedi. Pietro non vuole che Gesù gli lavi i piedi; non vuole che si umili, perché lo considera il Signore, il Messia glorioso. A prima vista è ancora un gesto di affetto e altruismo, ma ancora una volta fuori posto.
L’errore sta in una posposizione. Pietro intende salvare Gesù e non ha capito che, invece, è Gesù a salvare lui.
Come spesse volte vale anche per noi, per le nostre parole, per le nostre opere.
Chi siamo noi senza del Signore; oppure anche con il Signore, ma non come comandante in prima.
Chi non arriva a questa verità, si chiude all’amore che viene solo da Dio e combina ben poco nella vita.
Tornando a Pietro, vediamo come in qualche modo si rassegna; però continua a fare il generoso in maniera sbagliata, dicendo: “Non solo i piedi, ma anche il capo!”.
Continua a non capire. Continua a credere che sarà lui a salvarlo, costi quel che costi; è pronto a seguirlo sino alla croce.
Anche nel Getsemani vuol ancora proteggerlo e salvarlo e perciò sguaina la spada.
È ancora con la sua generosità sbagliata. Non ha ancora capito che il modo di pensare e di agire di Gesù è del tutto diverso dal suo.
È logico allora che, al momento della prova, lo rinnegherà per ben tre volte: “Non conosco quell’uomo!”.
Quarta tappa. E’ l’episodio ascoltato nella lettura iniziale.
Per arrivarvi ci voleva la prova definitiva, quella del triplice rinnegamento, per cui in questo momento, come a dover riparare, Gesù gli chiede un triplice assenso di amore. Da notare in particolare, nelle domande e risposte, il gioco di parole tra “mi ami” e “mi vuoi bene”: hanno gradazioni diverse.
Gesù, per due volte, parte dal grado più alto dell’amore, da quello che accoglie, chiedendogli: “Mi ami più di tutti”?. In altre parole: “Sono veramente il primo nella tua vita?”.
Questa volta l’episodio ci manifesta il cambiamento di Pietro che diventa il vero discepolo. Alla domanda “mi ami”, se fosse rimasto quello di prima, avrebbe risposto: “Ma certo che ti amo, più degli altri, sono disposto a tutto!”.
Invece risponde con una espressione che non osa salire a tanta altezza; si accontenta di confermarlo, ma si limita al solo: “Tu lo sai che ti voglio bene”.
In altre parole: “Ti amo, ma con il mio povero amore che non riesce a salire al livello che tu mi chiedi!”.
Non mette più al primo posto le proprie certezze e la propria generosità, ma si sottopone alla grazia divina; si affida al Signore, anche per le proprie affermazioni.
Passa dall’innamoramento al vero amore e alla vera sequela.
Allora, a questo punto, è Gesù che si abbassa al livello di Pietro e gli domanda l’amore che sceglie: “Mi vuoi bene?”. In altre parole: “Scegli di essere fedele a me, cerchi di amarmi al di sopra di tutto e di tutti?”.
Applichiamo a noi.
Anche nell’amore di coppia, di mano in mano, è necessario il passaggio dall’amore che sceglie per il proprio vantaggio, a quello che accoglie per il bene dell’altro.
Gli appunti che avete in mano scendono in una concretezza di espressioni e di domande sulle quali, riflettendo davanti e con il Signore, ognuno si interroga.

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"... io piego le ginocchia
davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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