Omelia delle domeniche e feste Anno C
"Vieni al Padre, fonte di Misericordia"
17 ottobre 2025 * S. Ignazio d'Antiochia
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8 Domenica C Pagliuzza e trave
Testi liturgici: Sir 27, 5-8; I Cor 15,54-58; Lc 6,39-45

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Come ci toccano da vicino le forti parole di Gesù: “Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello”.
Non sono forse dirette anche a noi che giudichiamo gli altri con tanta facilità?
Se siamo così, vuol dire che abbiamo una grande presunzione.
È come la presunzione del cieco – è la similitudine di Gesù - che pensa di condurre bene un altro cieco.

Cosa facilmente avverrà? Che ambedue cadranno nel fosso.

A questo punto ci domandiamo: Da cosa proviene il fatto del giudicare gli altri?

È un fatto istintivo, che però deve essere dominato. Proviene dal fatto che, non volendo correggere noi stessi, diamo la colpa agli altri, proprio come ha fatto Adamo che, alla domanda di Dio, risponde: “E’ stata la donna”. E come altrettanto risponde Eva: “E’ stato il serpente”.

Tutto questo dimostra che ci riteniamo maestri, senza essere stati mai alla scuola di Gesù come discepoli. Come pure che tutti siamo figli, ma non sempre diventiamo padri o capaci di fare i padri; ed ancora come tutti abbiamo delle conoscenze, ma non tutti siamo o diventiamo maestri.

Un passaggio particolare della parabola ci illumina, quando Gesù parla dell’uomo buono. Dice precisamente che sa “trarre dal tesoro del suo cuore tutto ciò che è bene”.

Quando, invece, parla dell’uomo cattivo dice soltanto che “trae dal suo tesoro il male”: vi manca il cuore. L’uomo cattivo, infatti, è un uomo senza cuore.

È proprio anche quello che ci ha detto il libro del Siràcide: “Quando si scuote un setaccio restano i rifiuti; così quando un uomo discute, ne appaiono i difetti”.

Quante discussioni nella nostra vita che non servono a nulla, anzi peggiorano le cose!

Ma c’è stata anche un’altra espressione illuminante: “I vasi del ceramista li mette a prova la fornace”.

Così altrettanto la bontà o meno del cuore di ciascuno di noi è provata dalle parole che pronunciamo nel confronto degli altri. Infatti, nessuna nostra parola è neutra, ma rivela quel che siamo, come analogamente la bontà o meno di un frutto rivela la qualità dell’albero.

Ora, come si coltiva una pianta perché produca frutti buoni e prelibati, così bisogna coltivare il cuore se vogliamo far maturare parole piene di bontà e di comprensione.

Il nostro istinto, infatti, non è mai un buon consigliere. Guai a parlare d’istinto!

Dopo aver ascoltato, e con pazienza, quello che l’altro ha da dire, solo allora siamo in grado di dare un giudizio oggettivo, ma solo sulla verità dei fatti, senza con ciò voler giudicare il cuore della persona stessa.

Un pensiero anche sulla seconda lettura.

Il Signore per bocca di Paolo ci dice: “Fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore”.

Perché ha detto questo ai Corinzi ed oggi il Signore lo ripete a noi?

Perché in certi momenti difficili ed infelici della vita viene spontaneo dire: “A cosa è servito tutto quello che ho detto e che ho fatto? Ne è valsa la pena?”.

Si tratta di non essere miopi. Si tratta di saper guardare il futuro sempre con speranza, senza abbattimenti di sorta, perché con Gesù siamo sempre vittoriosi.

Si parla anche di pungiglione, dell’organo di alcuni animali che trasmette veleno.

Nella vita cristiana per pungiglione si intende il peccato, in quanto trasmette il veleno della morte spirituale, di quella morte che potrebbe diventare eterna, se continuiamo a rimanere lontani da Dio.

Però anche qui c’è Gesù. Egli è l’antidoto del pungiglione ed è sempre all’opera, se glielo permettiamo.

Ecco perché ogni nostra speranza, nelle varie situazioni della vita, è posta solo in Gesù. Con lui tutto può essere superato.

Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello

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davanti al Padre,

dal quale ogni paternità
nei cieli e sulla terra." (Ef. 3,14-15)

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