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È interessante anche per noi conoscere il nome di Dio, come rivelatoci dal libro dell’Esodo: “Io sono colui che sono!”. La definizione si riferisce alla sua esistenza, che in altre parola significa: “Ci sono, ci sono stato e ci sarò. Io non posso non esserci. Io sono l’eterno”.
Altra definizione la troviamo in Giovanni, dove è definito: “Dio è Amore!”. Questa si riferisce alla sua essenza, che in altre parole significa: “Io non posso non amare. Io non posso non essere misericordioso. Io non posso non aiutare e non rendere felici!”.
Le due definizioni si integrano a vicenda.
Ma veniamo a riflettere sull’episodio ascoltato, mettendoci a confronto con Mosè, perché tutti assomigliamo a lui.
Il problema di Mosè non è quello di essere ateo, ma è quello di essere una persona delusa da Dio. Di conseguenza, era giunto al punto da dover concludere che Dio non entrava affatto nella sua vita. È vero che, nell’educazione religiosa ricevuta, aveva conosciuto Dio come colui che si prende cura della sua gente. Mentre, per esperienza diretta, aveva costatato e concluso che Dio, c’è o non c’è, di fatto non si prende cura di noi.
A volte, non abbiamo anche noi tirate queste conclusioni?
Ad un certo punto, però, l’esperienza di Mosè raggiunge una cosa inaspettata: incontra Dio dentro un rovo, come volesse dire: “Se sono dentro un rovo, che vale quel che vale, a maggior ragione non posso non essere anche in mezzo alla gente, che soffre in Egitto?”.
Però, per salvarla, ha bisogno di Mosè, il quale, pur con alcune perplessità, aderisce.
Il fatto di rispondere all’invito e mettersi a servizio non è altro che quanto noi chiamiamo vocazione e missione.
Ognuno di noi ha una vocazione ed una missione da compiere. Ora, il bene personale e quello per gli altri, è proporzionato all’intensità della nostra risposta e collaborazione con Dio.
Anche il Vangelo, a sua volta, risponde ad alcune nostre asserzioni sbagliate; come ad esempio quando diciamo che, se arriva una disgrazia, è segno che ce la siamo meritata.
Gesù non dice che quelli morti erano più peccatori di altri, la morte non è una punizione per il loro comportamento.
Però, c’è una cosa che vale per tutti ed è la nostra conversione continua. In altre parole significa che il giudizio di Dio è per tutti e può arrivare all’improvviso, trovandoci impreparati.
È necessario allora un impegno costante e serio di conversione, proprio perché la parola di Dio possa produrre frutto.
Per il fatto che Dio è misericordioso, non significa che possiamo liberamente fare quello che vogliamo, tanto lui ci perdona. Alcuni, erroneamente, pensano così.
Dio esercita la sua misericordia attendendo il nostro pentimento e la conversione, altrimenti non può raggiungerci.
Non vogliamo che ci capiti quanto descritto nella seconda lettura, appunto perché le cose accadute: “Sono state scritte per nostro ammonimento”.
Cosa era capitato?
Il popolo che attraversa il deserto vive momenti di scoraggiamento e ribellione a Dio, momenti in cui mormora contro Dio, e non si fida più di lui.
Quando il popolo si ribella, momentaneamente Dio lo abbandona a se stesso. Gli fa sperimentare che senza di lui non c’è salvezza, ma solo disperazione e morte.
È quello che potrebbe capitare a noi, quando facciamo di resta nostra senza ascoltare il Signore.
Pertanto, convertirsi significa fondamentalmente fidarci di Dio in ogni situazione della vita, anche nei momenti di fatica e di scoraggiamento, nella consapevolezza che egli è sempre all’opera per il nostro bene e la nostra salvezza.
Sac. Cesare Ferri rettore Santuario San Giuseppe in Spicello